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Giancarlo BregantiniLa Locride in lacrime, il vescovo anti-'ndrangheta trasferito a Campobasso
"L'obbedienza santifica"

Mons. Giancarlo Bregantini lascia un vuoto apparentemente incolmabile; occorrerà rimboccarsi le maniche

di Marianna Negro
foto archivio Tropeaedintorni.it

Bologna - 7 Novembre 2007. Una giornata importante per la Locride e per tutta la Calabria. Monsignor Giancarlo Bregantini viene "promosso" ad Arcivescovo Metropolita di Campobasso.

E' inutile negare che questo trasferimento rompe i delicati equilibri che con fatica, coraggio ed impegno instancabile il "Don" (perchè così si faceva chiamare dalle sorelle e fratelli dell'U.N.I.T.A.L.S.I. tropeana - e calabrese tutta - durante le bellissime esperienze a Lourdes e non solo!) era riuscito a creare nella sua Diocesi.

Senza nulla voler togliere alle altre importanti figure clericali che operano da anni in Calabria contro i sorprusi di ogni sorta, è impossibile ignorare il suo grido tonante contro "i fatti" che da anni minano dolorosamente la Locride.

Un grido forte e, nello stesso tempo, umile di chi per primo scende in campo, alzandosi le maniche della tonaca talare e sporcandosi le mani di quella terra calabrese di cui si è innamorato. Tanto da fondare le cooperative agricole (e ricostruirle dopo i vari attentati subiti) per dar lavoro ai disoccupati, per recuperare dalla strada gli "sbandati", per dimostrare che da quella terra insanguinata ed addolorata potevano ancora nascere frutti sani! La forza, ancora, di gridare contro i politici, di tutti gli schieramenti, per denunciare ciò che in Calabria non andava e ciò che, concretamente, andava fatto.

"Ultimo tra gli ultimi". Era così che amava definirsi quando, all'interno di un refettorio, veniva ad aiutare i volontari dell'Unitalsi calabrese ad imboccare i nostri amici diversamente abili, a servire ai tavoli, ad asciugare le pentole in cucina. Impegno incessante, quindi, in tutti i "campi" della sofferenza. Conforto e sprone per chi la malattia la patisce ogni giorno e per chi cerca, umilmente, di alleviare quel fardello con una parola, una carezza o, semplicemente, un sorriso.

Il sentimento che pervade i cuori dei calabresi che ancora credono che non sia tutto perduto; della gente onesta che con il proprio lavoro e sacrificio vuole portare avanti questa terra, oggi non può che essere di sgomento. Una ferita lacerante. Un senso di abbandono, di vuoto, che - credo - dovrà far riflettere chi "dall'alto" questa decisione ha assunto.

Nella sua ultima omelia calabrese ha detto "obbedisco", ma - per chi come me ha avuto la fortuna di conoscerlo - è dura da digerire. E' dura, infatti, comprendere decisioni prese troppo "dall'alto", che - quantomeno apparentemente - sono troppo distanti dalla realtà della Locride e della Calabria tutta.

Forse, però, è arrivato il momento di mettere a frutto le parole che in questi tredici anni di apostolato abbiamo udito. E' tempo che la Locride e tutte le comunità che hanno avuto modo di lavorare con lui, che - con lui - si sono svegliate dal torpore, proseguano da sole; dimostrino che il coraggio infuso e i risultati ottenuti non sono vanificati.

E allora ciao "Don", buon viaggio. Ma anche arriverderci con la certezza che la Calabria non dimenticherà gli insegnamenti che Le hai impartito e con la speranza di sentire ancora le tue omelie e meditazioni, che hanno rapito il cuore di tutti noi, come fossero fiabe.

Novembre  2007 www.tropeaedintorni.it © 1994-2007 - Tutti i diritti sono riservati.  Web master e design  Francesco Barritta