E' nato a Tropea e vive a Vienna dal 1996

Un caro messaggio dall'Austria

Antonio, nostro amico, rovista tra i ricordi lontani e ci offre la tenerezza dei suoi sentimenti più nascosti

 

di Antonio Cotroneo

foto Archivio tropeaedintorni.it

 

Vienna è l’unica città austriaca a superare il milione e mezzo di abitanti. Vi sono quartieri molto popolati, con tantissimi palazzi e un intenso traffico, mentre in altri sembra di vivere in un paesino di campagna. Infatti, nel diciannovesimo quartiere (Bezirk) si trovano viali alberati, giardini, boschi, dove i viennesi si recano  a camminare e passeggiare lungo i sentieri meticolosamente tracciati dal comune. Le collinette di Leopoldsberg e Kahlenberg sono  circondate da vigneti. Lungo le stradine si trovano antiche bettole (heuriger),  dove i camminatori possono degustare il vino novello, sedersi e rifocillarsi. Per chi vuole andare fuori città a camminare (wandern), basta mezzora di treno per trovarsi già in aperta campagna, in uno dei tanti paesi immersi nel verde e incominciare a camminare per ore e ore. Lungo i sentieri si trovano i crocevia (Wegekreuz) e le cappelline votive (Bildstock), con immagini e statuette del Santo del luogo, dove il camminatore, se sente il bisogno, può sostare e inginocchiarsi a pregare. Oltre che punti di riferimento e di orientamento, quei simboli fanno parte della profonda religiosità del popolo austriaco, radicata nelle antiche tradizioni culturali e popolari. Infatti i bastoni piantati, su cui sono inchiodati i crocifissi e le cappelline sparse nei boschi e nelle montagne, vogliono far intendere a chi cammina (wanderer), che non è solo in quel luogo, perché qualcuno, al di sopra di lui, lo veglia e lo salvaguarda nel cammino. A nessuno verrebbe  in mente di distruggere, rovinare o, addirittura,  sparare contro uno di questi  simboli religioso- popolari sparsi per il territorio. A Tropea  abita un signore che conosco sin da bambino e che durante la gioventù mi è stato molto familiare.

Durante la giornata era sempre molto preso e indaffarato con i tantissimi clienti, in quanto gestiva un avviato negozio di elettrodomestici e tanti altri articoli da sembrare in realtà uno “Store” americano. Dentro si poteva trovare di tutto: palloni, canoe, maschere, giocattoli, materiale elettrico e cose che allora suscitavano la curiosità di noi bambini.

Io mi presentavo al negozio di sera quando il proprietario, poco occupato, stava seduto vicino ad una delle sue nuove stufe a riscaldarsi, aspettando le telefonate dei clienti  rimasti senza gas.

Era un tipo sorridente, loquace, dinamico, istruito e molto aperto verso i ragazzi. Difatti non disdegnava di stare con noi, raccontandoci  storie avvincenti e fatti di vita. Noi stavamo in silenzio ad ascoltarlo per apprendere cose nuove e interessanti durante le tediose giornate d’inverno, che sembravano non finissero mai. Più passava il tempo e più mi accorgevo che la “ditta”, come noi amichevolemente chiamavamo il signor Attilio, aveva doti straordinarie. Era sempre calmo, serafico e ci parlava con una tale gentilezza che noi ritornavamo volentieri nel suo negozio ad ascoltarlo. Dai colloqui traspariva un profondo senso religioso, un attaccamento alla Chiesa, ai santi e specialmente alla nostra  patrona: la Madonna di Romania. Una devozione intensa, tanto che non di rado affidava il negozio al commesso per recarsi fino al Vescovado, a pregare la Madonna.

Quando di domenica mi recavo in chiesa notavo che non stava vicino agli altri fedeli seduti sulle panche, bensì sull’altare, vicino al sacerdote che celebrava la messa. A partire dagli anni sessanta faceva parte della commissione per i festeggiamenti della processione più importante del paese. Non solo era impegnato nella organizzazione, ma addirittura regalava costosi elettrodomestici del suo negozio, affinché venissero messi a riffa. Il ricavato serviva a coprire le spese ed aiutare qualche famiglia bisognosa tropeana.

La sua vita privata scorreva sempre tranquilla fino a quando un gravissimo episodio, successo nelle campagne vicino Platì lo sconvolse. A tal proposito lui stesso mi ha raccontato:“Un giorno ero andato a Molochio per visitare i miei parenti. Data la vicinanza, volevo approfittare per recarmi ad un quadrivio,  a circa 3 km dal paese di Platì, in cui si trovava il crocifisso di Zervò, che da tempo mi ero preposto di visitare e, per impegni, avevo sempre rimandato. Quando sono arrivato al mio paese mia sorella con dolore mi informava che alcuni ignoti avevano preso a fucilate la croce, (alcuni giorni prima ) danneggiandola totalmente. Rimanevo sconcertato, tanto da non riuscire a pronunciare nemmeno una parola. Non riuscivo a spiegarmi il motivo che aveva indotto degli sconosciuti a prendere come bersaglio la Croce, su cui c’è già un uomo morto (marturiatu): Colui che si è sacrificato anche per loro. Forse quelle persone, passando davanti, non avevano coraggio di guardarla, perseguitati dal rimorso per aver commesso qualcosa di grave, di criminoso, in quella zona ad alto rischio, dove erano frequenti fatti delittuosi di matrice mafiosa e sequestri di persone. Ripresomi, promettevo a mia sorella di ritornare con più fervore e più motivato, non solo per vedere la grande Croce danneggiata ma organizzando un pellegrinaggio e pregando, insieme ad altri tropeani, sotto il crocifisso. Il fatto mi aveva talmente turbato che non riuscivo a dormire. Qualche settimana dopo mi arrivava l´ispirazione di scrivere una poesia sull’accaduto. Qualcosa di straordinario mi faceva vedere chiare, nella notte, le parole in vernacolo calabrese, che dopo avrei scritto. Come mi ero riproposto, ritornavo al quadrivio con un folto gruppo di pellegrini tropeani. Vicino al crocifisso leggevo per la prima volta i versi a tutti quelli che con me erano presenti in quel luogo”.

Io ho letto e riletto tante volte la stupenda poesia della “Ditta”, che mi sembra più una supplica, un’invocazione al Signore. Quale direttore avrebbe da ridire su una tela di Picasso che si trovi tra i tanti quadri del suo museo?.

Posso solo sottolineare tre parole:....nentimenu... ti spararu !...

 

 

 

 

 

Dal periodico “PARVA FAVILLA” – Nov- Dic. 1992

Fondatore Don Fr. Mottola

 

                    ATTILIO SERGI

 

       A GESU’ CROCIFISSO  DI  ZERVO’

 

Signuri nostru crucifissu,

umili, venimu di luntanu,

mu t´adoramu,

e mu ´ndi perduni pi nostri piccati,

speci pi chiji chi ti trattaru malu,

....nentimenu....ti spararu!...

 

Fu nu gestu tremendu e crudeli chi ti

ficiru- ma penzamu- ca i perdunasti gia’, picchi’,

-simu sicuri- mancu sannu iji chi cumbinaru cca’.

Purtroppu, tutti i jiorni e’ nu turmentu di angosci,

amari, simu stanchi di chiju chi vidimu e sentimu,

sia di luntanu, ca di vicinu: inorridimu!....

E, o puntu c´avimu sempi u mal´umuri,

aiutaci e resta cu nui : Signuri!

 

Ti cercamu, ´nginocchiati, pieta’ e misericordia,

dand´a concordia e nostri famigghi, e...rimporzacci a Fedi a patri, mammi e figghi.

 

Tornandu e nostri casi, simu cu tutt´u cori

cchiu’ cuntenti ca ficimu sta bella visita a Ttia,

e simu certi ca ´ benedici a tutt´a nostra Cumpagnia.

 

Cu tanti guai randi chi ´nci su ´nta stu mundu,

dandi u sentimentu mu pregamu di cchiu’,

e accettali comu sunnu.

 

...E...pi ccomu simu, fandi ogni tantu

...puru m´arridimu......

 

Viva Gesu’, Giuseppe e Maria.

Siti sempi ´nto cori nostru e Cosi’ Sia.
 

 

Redazione gazzettino 
    di Tropea e dintorni

 

 

    www.tropeaedintorni.it        09 marzo 2006